Vincitori 5° Concorso Bondeko – Poesia, racconto breve, fotografia

VINCITORI SEZIONE  A – POESIA

 

PRIMO PREMIO – La bellezza dell’aria – Flavio Tamiro (Calco – LC)

La bellezza dell’aria

L’antico caro Sole che stabile non era

la Terra conformava in labile maniera:

d’ardente roccia mole mancava d’atmosfera

negando sia le viole che vieta primavera.

L’interno del pianeta intanto si gasava

in quanto dall’inferno la crosta si scansava

e dunque raffreddava galattici bollori

lasciando buchi ovunque, estrusi fatti fuori.

L’oceano fu prodotto assieme col gasdotto:

la lava cinerina usciva di cantina,

vulcani traboccanti più neri di barboni

a getti d’anidride sommavano carboni.

Se l’acqua di vapore soffriva tal calore,

il divo superiore per fame che teneva

tendeva giù di cuore lasagne sul grisou

nel mentre preparava un cosmico ragù.

Non fosse stato che…il cibo profumava,

la Terra solitaria di vita s’animava:

se Venere con Marte fiatavano lapilli

l’umano globo probo campava di fusilli.

Lo stomaco non vuoto scoprì cos’è l’azoto,

e l’uomo col respiro, l’ossigeno remoto

produsse d’ogni dì a onta del demonio

indotto a divorarsi organico carbonio.

Segreto della Terra fu là l’effetto serra

modesto, non rubesto e privo della guerra:

se Marte spumeggiava e Venere fiammava

l’accorta, savia Gea, di contro respirava.

La vita fece l’aria, e l’aria la conserva:

la Terra leggendaria è naso di Minerva!

Favola che racconta la vicenda del pianeta – dalla nascita a questo nostro presente – attraverso l’uso sapiente di metafore, sinestesie, rime che donano vivactà al procedere del viaggio del pianeta-umanità fino all’approdo vitale: la bellezza dell’aria! La poesia è impreziosita dall’evocazione degli dei della mitologia greca a rappresentare proprietà dell’umanità del pianeta–Terra: MARTE = guerra; VENERE = l’amore; GEA = la terra-madre da cui prendono vita tutte le cose; SOLE = il padre; MINERVA = la sapienza. Insomma: la VITA.

SECONDO PREMIO – Le ali della mia terra – Giulio Redaelli (Albiate – MB)

 

Le ali della mia terra

Scrigno di antiche memorie

aperto su un futuro di speranze

è la mia una terra di magiche realtà

cielo color degli occhi di chi guarda

prati più verdi della fervida fantasia

si specchiano in un mare di frumento

fin dove l’ombra di un gelso nodoso

è ruga scura di pensieri silenziosi

Qui il tempo è pietra levigata

per donne che fanno bucato di sorrisi

stesi ad asciugare con mollette di baci

sull’arcobaleno colorato della serenità

e le nuove attese le porta il Lambro

come barchette di carta colorate

che scivolano leggere sull’acqua

ognuna col nome di un sogno passato

Se vuoi le puoi appendere, una ad una

come stelle sul presepe di tutti i giorni

o tenerle da conto – petali di desideri

fra le pagine della vita ancora da vivere

Innamorato, nel sospiro del tramonto

vado alla finestra e ti guardo vivere

nella luce attenta di ripetuta meraviglia

mentre passa il vento di un’emozione

e fra noi non c’è più differenza

perché ho le ali della mia terra

e il cuore è ormai dappertutto.

Fra “antiche memorie” e “un futuro di speranze” vola il poeta sulla sua terra a mostrarne, con amore, le bellezze. Il volo scorre fra colori e presenze di persone in un pulsare di vite e di sentimenti e di desideri: sì, il cuore è proprio dappertutto! Raffinate figure – enjambement, sinestesie, metafore – lessico pregnante e tenera visionarietà creano immagini evocative.

TERZO PREMIO – Non è mai finita – Lucia Lo Bianco (Palermo)

Non è mai finita

(A tutte le donne vittime di violenza e della logica del possesso)

È accaduto già, ricordo fessure

e crepe di cupe stanze dissacrate

o in fondo al bosco orfano di luna,

come pellicole lacere e consunte

tra figure scorte appena tra gli scatti.

Ho visto corpi esangui sulla strada

e occhi di donna sgranati verso il cielo,

c’erano sangue, ossa e poi una voce

che urlava al vento tra calde onde

e soffi in fuga dalla scia di pazza folla.

E, all’improvviso, sguardi fiutano la preda,

mani premono carezze non cercate,

dita frugano pelle dentro una fessura,

pugni chiudono cerchi senza uscita.

E polvere, pietre sotto schiena, vesti stracciate,

cuore a brandelli e visi sconosciuti,

branchi affamati di carne trasudante.

E io ho abitato incerte primavere

di sere buie e infinite fino all’alba

cercando un senso ai ritmi sfrenati

di vuota vita nei vuoti cavi della notte.

Non mi appartiene più questo mio corpo,

pelle strappata e ricucita a scatti,

male che uccide e non c’è via di scampo.

Cerco dei suoni confusi tra i rumori

ma più non trovo un canto libero di donna,

soffoca il fiato l’urlo spento chiuso in gola,

spinto giù in fondo da vili occhi di animali.

C’è chi continua a bruciare le sue streghe

in una caccia che non è mai finita.

L’incipit è accaduto già”, come una sentenza che non lascia speranza, ci sbatte in faccia la condizione, reale, della donna nella tempesta brutale che l’aggredisce. L’onomatopeafessure e crepe di cupe stanze dissacrate” evidenzia il buio e il rumore che sono nel ricordo della donna. Non c’è via di scampo! E il lessico e le immagini, che leggiamo e vediamo, non concedono nulla alla retorica, all’enfasi.

VINCITORI SEZIONE  B – RACCONTO BREVE

 

PRIMO E UNICO PREMIO – Puro cobalto il cielo – Lucia Lo Bianco (Palermo)

Di Torino mi dicevano meraviglie. Ecco perché ho finito per incunearmi qui, in quest’angolo di mondo dove l’aria profuma di dolce e amaro al tempo stesso. Che poi la mia vita di dolce ha ben poco. Le mattine sanno di fogli sgualciti quando mi sveglio. Sì. Mi sento proprio così quando sollevo la coperta a scacchi che fodera il mio lettino all’angolo. Pure le lenzuola hanno smesso d’essere bianche e ormai si tingono di grigio o forse è il colore del cielo che si riflette sul piccolo giaciglio improvvisato sotto i portici della stazione.

Perché, vedete, è proprio lì che vivo. Il mio letto è tra l’hotel e il negozio dell’indiano. Ci puoi trovare proprio tutto in quel negozio. Un vero e proprio bazar di chincaglierie d’ogni tipo. Tovagliette per la colazione, fiocchi, nastri, matita per gli occhi, calzini e collant. Di giorno ci vado per farmi un giro e rifarmi gli occhi. L’indiano mi conosce e a volte mi regala qualcosina. Come quel rossetto rosso ciliegia che mi piaceva tanto. Lo sfioravo e lo sognavo di notte. Allora lui me l’ha messo in mano. “Ti starà benissimo”, mi ha detto. Che brava persona l’indiano!

La mia valigia è posata alla testata del letto, accanto al cuscino. Di notte allungo le mani e la sfioro. Non sia mai me la rubano. Come farei poi senza le mie cose? È poca roba, in fondo, ma il mio mondo è lì. In quella scatola che ho trascinato dal paese 10 anni fa, in cerca di fortuna. Ho girato un po’ a vuoto al principio ma l’unica porta aperta l’ho trovata qua.

Un giorno Veronica, con le sue vesti maleodoranti ed il rossetto marcato mi vede e mi invita nel suo “appartamento”. Sì, lei lo chiamava proprio così. Aveva sistemato un materasso e lì accanto una borsetta faceva bella mostra di cianfrusaglie strane e ingiallite mentre il nécessaire per il makeup gliel’avevano regalato le signore bene della città e lei lo teneva da parte come un tesoro d’inestimabile valore.

Veronica si alzava al mattino, si sistemava i capelli arruffati e incominciava a imbellettarsi il viso. Dopo tutto era importante mantenere la propria dignità. Guardandola, un giorno, avevo pensato che se fossi rimasta a Torino sarei diventata proprio come lei. Dovevo andar via e subito. Ma no! Che pensiero malsano! Torino era una città magica e ne avevano detto meraviglie.

Poi un giorno Veronica non si è svegliata più. Che freddo quel giorno. L’aria era tagliente e la copertina con cui si copriva si era ritirata con le gelate al mattino. Dall’angolo nascosto della strada il suo corpo mi era sembrato come un micio abbandonato e impaurito. Capelli arruffati e trucco disfatto della sera prima: Veronica la ricordo proprio così nelle notti fredde quando la luce tarda ad arrivare sotto i portici della stazione. Eppure al paese dicono che Torino è bella, una città magica.

E così il posto di Veronica, il suo “appartamento”, l’ho preso io. Ho subito tirato fuori le mie belle lenzuola coi ricami dalla valigia. Quelle che la mamma mi aveva regalato. Che bella figura che mihanno fatto fare all’inizio. Si fermavano tutti e si divertivano a far scorrere la mano sui bei disegni bianchi del cuscino. Sono stata proprio felice al principio. Mi hanno aiutato tutti, proprio tutti. Yvonne, la polacca, mi ha spiegato come fare toilette e curare la mia persona. Ahmed, il senegalese, mi ha preso sotto la sua ala protettiva. Di certo a me non ha mai fatto i suoi scherzi, come far scoppiare i petardi tra le gambe. Quelli li riservava alle ragazze carine che arrivavano in stazione con le loro valigie enormi e finivano per passare dai portici, prima di raggiungere il loro albergo. Moussa era il più cattivo, invece. Mi ha piantato addosso il suo sguardo sospettoso sin dal principio. Proprio non lo sopportavo. Mi cambiavo la camicetta e lui lì, a sbirciare. Non lo faceva con Yvonne o le altre donne. Ancora adesso me lo ritrovo accanto quando raccolgo le monete lasciate dalla gente. Non mi piace per niente. Mi sento a disagio con lui vicino e se mi distraggo mette le mani tra le mie cose e rubacchia. Lo fa. Ne sono certa. Ma per fortuna che c’è Ahmed. Mi vuole bene, come Seydou.

Seydou è un pittore. Ogni mattina sistema il suo panchetto lì, al confine del porticato grande che fiancheggia la stazione. Sciorina la sua tela e guarda in alto verso il cielo, coi suoi colori freddi e intensi che ti schiacciano da dentro. Lui guarda su e scorge qualcosa. Lo so perché sorride, quasi sempre.

Gli ho chiesto un giorno: “Che hai visto oggi, Seydou?”, ma non mi ha risposto subito. È rimasto lì con il suo mezzo sorriso a sbirciare il grigio delle nuvole, quasi aspettasse che si diradassero per far spazio a un po’ di azzurro. L’azzurro, però, non è spuntato più e Seydou si è voltato e mi ha guardato alla fine. “Ho visto un passerotto che cercava di volare in alto, ma da solo non riusciva e così sono arrivate un po’ di ali per aiutarlo a sollevarsi.” Non ho capito di quali ali parlasse. Ancora oggi mi chiedo cosa volesse dire.

Poi un giorno mi ha fissato. “Ti va se ti faccio il ritratto?”, ma non gli avevo mai visto disegnare alcun ritratto. Mi è piaciuta l’idea. Tanto. Gli ho detto di sì. Solo non capivo dove dovessi mettermi. E soprattutto come. Ma Seydou è stato meno complicato di me e mi ha detto di restare lì dov’ero, accanto a lui. Semplice come bere un bicchier d’acqua. È cominciato così il più bel periodo della mia vita. Giornate fantastiche colorate di rosa. Almeno la mattina mi alzavo con uno scopo. Pettinavo i capelli e mi truccavo con cura. E poi mi sentivo importante. Una vera star. Mi ritrovavo a ricevere attenzioni che non avevo mai avuto. I passanti poi! Tutti concentrati a guardare. I loro occhi si spostavano da me al dipinto per ritornare su di me. E non finivano di commentare. “Sta venendo proprio bene!”. “Io ci metterei un po’ più di colore”. “Ma perché il cielo è così grigio?”, come se a Torino il cielo fosse di un altro colore! Seydou restava calmo ma a tratti dava segni di insofferenza lanciando sguardi di fuoco. Allora il critico di turno si zittiva e si allontanava, impaurito.

Il giorno che Seydou ha finito il mio ritratto abbiamo festeggiato. L’indiano ha comprato dei dolcetti e ci ha fatto entrare nel suo retrobottega. Che meraviglia. Non assaggiavo un dolcetto da così tantotempo! Avevo dimenticato che sapore avesse lo zucchero tra i denti, quella soffice sensazione d’impalpabile leggerezza sulla lingua e sul palato. Per poche frazioni di secondo mi sono sentita come una vera signora. Con quel ritratto tra le mani e l’immagine di qualcuno che non sembravo neanche io. A guardarlo sembrava proprio un’altra persona. Non poteva essere la stessa persona, no. Poi tutti a complimentarsi, a dirmi come stavo bene coi capelli e con il rossetto sulle labbra. Sicuramente qualcuno mi avrebbe notato ora e, chissà, magari riuscivo pure ad andarmene da lì e non rischiare di fare la fine di Veronica. Dopo tutto di Torino si dicevano meraviglie. Una città magica.

Quel giorno mancava solo Moussa. Cattivo e invidioso com’era non si era unito ai festeggiamenti. Non è mancato a nessuno perché, vedete, la gente come me capisce subito con chi ha a che fare e cerca di proteggersi. Qualcuno però ha pensato di mettere da parte qualcosa da mangiare per lui. Di sera l’avrebbe sicuramente apprezzato e magari sarebbe stato più gentile, con le donne soprattutto. Quando l’indiano ha chiuso il suo negozio mi sono spostata all’angolo, tra le mie cose. Proprio non ci riuscivo a staccare gli occhi dal mio bel ritratto. Poteva davvero rendermi famosa in fondo. Moussa mi è spuntato accanto all’improvviso. Ho sentito uno spintone e poi una stretta al collo. Di certo voleva rubarmi il ritratto. Provava sempre a rubarmi tutto. Ma stavolta dovevo impedirglielo. Le sue mani mi frugavano in ogni parte del mio corpo, ma dovevo salvare il ritratto. Sono riuscita a liberarmi. Mi sono alzata. Sono scappata via. Sono scivolata lì, al confine del porticato grande che fiancheggia la stazione. Moussa mi ha tirato per le caviglie. Ho visto che aveva un coltello. Ma il ritratto l’ho salvato. Sono caduta a faccia in giù, difendendolo con la pancia, giusto in tempo per alzare lo sguardo e volare in alto.

Puro cobalto il cielo.

Ma il ritratto poi è servito? Sta lì, vicino la valigia posata alla testata del letto, accanto al cuscino. Di notte allungo le mani e lo sfioro. Non sia mai me lo rubano. Come farei dopo senza?

N.B. (Dedicato alla clocharde dal dolce sguardo che mi sorrideva ogni mattina. Proprio non riesco

a staccarmela dal cuore)

 

Incontriamo, sotto il grigio cielo di Torino, una carrellata cinematografica di luoghi, di personaggi, di situazioni umane. Si tratta di “barboni”, ciascuno dei quali viene presentato con le proprie qualità che arricchiscono le relazioni fra loro. Uno di loro, Seydu, che è un pittore, fa il ritratto di una di loro. Il ritratto è bellissimo. La ragazza pensa che esso possa davvero renderla famosa in tutto il mondo. No! Non sarà una “barbona”! E…dopo? Rimandiamo alla lettura diretta del racconto, fino all’epilogo: il cielo non sarà più grigio, ma sarà PURO COBALTO: un cielo di pace, di purezza.

Racconto molto pregevole, originale, accurato.

 

 

 

VINCITORI SEZIONE  C – FOTOGRAFIA

 

PRIMO PREMIO EX AEQUO

Paesaggio – Letizia Ronconi (LC) 

 

Un’immagine tra astrazione e naturalismo che nel suo microcosmo riflette un più ampio  macrocosmo.

 

 Arte..bellezza.“Sognando di fronte ad essa” – Mara Masi (Monte S.Pietro–BO)

 

Un gioco dello sguardo che chiede di essere completato attraverso una cornice.

 

 

 

SECONDO PREMIO – A caccia di sassi colorati – Umberto Stirpe (Rovereto – TN)

 

Un’immagine dal sentore iperrealista in cui tre bambine giocano cercando la natura sullo sfondo di un paesaggio come se fosse uno scenario che non gli appartiene più.

 

 

TERZO PREMIO – Viandante su un mare di nebbia – Luca Cassinelli (Olgiate Olona- VA)

Un’immagine surreale che, attraverso frammenti quasi raccolti, passa da un frammento finito a uno spazio infinito.

 

La giuria ha inoltre segnalato le fotografie:

 

Magia di colore – Marco Benetti (Galbiate – LC)

 

Simbiosi – Giulio Castellani (Erba – CO)

 

 

Carezze di luce – Letizia Ronconi (Lecco)

 

 

Silenzio – Anna Rita Sironi (Bulciago – LC)