Vincitori 3° Concorso Di Poesia Bondeko

PRIMO PREMIO

 

NDEKO – FRATELLO

queste parole sono per Te, Altro:
il compagno negato, il fratello sacrificato.
credimi, ci sono voluti anni e anni;
mi sono impegnato a erigere muri
di un terrore che non sapesse scorgere oltre
e a segregarmi nella sicurezza di sbarre
e poi ad aggiustarmi una pace asettica
come fosse già la mia tomba. c’è voluto tempo
e un tocco di talento codardo
con cui ho stretto la cravatta al collo fino a sera.
ma poi l’avvenimento del mattino
in cui il ramo al sole è il primo a risuonare
in cui rinverdisce il canto degli uccelli.
ecco, ascolta, forse per l’uomo
l’odio è più antico anche dell’amore
ma il domani non si prevede:
si costruisce. come un tempo quando adoravamo
reliquie di santi e fabbricavamo masso per masso
cattedrali irte sino alla luna
prima di crollare disillusi
a conservare reliquari di sola cenere.
queste parole sono per Te, Altro:
fratello rinnegato, compagno dimenticato.
qui al mondo il futuro non si prenota
e non si compra, è invece un sogno che si culla
con le ninne nanne dei bambini.
così nei cieli lontani di mango spero
e spero di riconoscere un barbaglio del loro profumo
in un volto d’uomo che ti somiglia
che mi somiglia e non piange più.

Emanuele Pini

 

 Il tessuto narrativo è costituito da un DIALOGO MUTO:

                                   “queste parole sono per TE, ALTRO”

Ma la comunicazione è con se stesso; è il dialogo muto dell’anima con se stessa: vitale, catartico, emotivamente necessario per il bisogno di riparare la propria colpa: muro, sbarre, odio contro l’Altro

                                “il compagno negato, il fratello sacrificato”

Sostituire l’io con il “Tu, l’Altro”, (Ndeko in lingala = FRATELLO in italiano) permette di sviluppare una sorta di autoempatia.

E, così, avviene il riconoscimento dell’ ALTRO:

                                   “in un volto d’uomo che ti somiglia

                                    che mi somiglia e non piange più”

 

 

SECONDO PREMIO

 

 

E LUCI SI SONO SPENTE A BUCHA

E le luci si son spente a Bucha
Non c’è più un volto a Bucha
e le mani si nascondono nel buio,
chiudono gli occhi le trame di parole
e fredde storie ricamano il silenzio.
Non c’è più strada viva a Bucha,
solo cumuli di corpi senza nome,
anime erranti nel vento senza suono,
poveri resti privati d’armonia.
Non c’è più il sole a Bucha,
si è perso dietro un filo trasparente
ed i colori ricercano cromie
sotto un cielo attonito e distante.
Non c’è la luna più, di notte, a Bucha
ed il chiarore di stelle è vagabondo
come viandante smarrito nella nebbia
o navigante senza direzione.
Mancano sguardi verso il cielo a Bucha
e i piedi affondano in fosse di terrore,
il vuoto parla di voci nell’assenza
mentre rimbombi risuonano a memoria.
Non vedi più una casa, qui, a Bucha
e le finestre sono scheletri sul nulla,
come le navi fantasma perse in mare
girano a vuoto in vortici impazziti.
Si sono spente, ormai, le luci a Bucha
e non rimane un nume per vegliare
su quelle anime colpevoli di niente
che ora disegnano un buco d’universo.

Lucia Lo Bianco

 

L’apertura insolita – la congiunzione E- del titolo ha la funzione di evocare, con rilievo espressivo, la conseguenza di un atto: L’attacco mortale a Bucha.

Le luci che si sono spente sono la metafora della vita che si è spenta.

E l’anafora “Non c’è più” cadenza il dolore, nella successione dei volti, delle strade, del sole, della luna, degli sguardi, delle case che non ci sono più a Bucha.

Tutto è spento. La vita è spenta!

                                   “E non rimane un nume per vegliare

                                   su quelle anime colpevoli di niente

                                   che ora disegnano un buco d’universo”

 

TERZO PREMIO

 

 

LA FAVOLA MIA E DI UN ACINO D’UVA

La favola mia e di un acino d’uva
Eri un germoglio, in una remota primavera
e forse anch’io in una giovinezza lontana.
Sui tralci rampicanti, rugosa la corteccia
tu cullata dai pampini palmati
io spensierata fra i giochi del cortile
nella quiete del vigneto, in una caotica città.
Asciugava il sole tiepido d’autunno
il pianto dei capricci,
la nebbia e le goccioline di rugiada.
Siamo cresciute, donna e bacca zuccherosa.
Appese a un raspo, fili di sogni e ragnatele di speranze.
Allora la vita mi raccoglie, una mano ti vendemmia.
Così inizia il viaggio, in una cesta o tram affollati.
Un liquido prezioso e dolce da te si spande;
nell’anima mia come nei tini
ribollono gioia e noia, affanni e sorrisi
risa e malinconie, affetti e sentimenti confusi.
Non sono mai riuscita a separare il mosto dalle vinacce
la luce dalle tenebre, il desiderio dalla disillusione
a fermentare per divenire vino amabile
da mescere nei calici di un capodanno,
vino frizzante per i brindisi più lieti.
E poi chissà se insieme invecchieremo
fra i muri di una casa, il legno della botte.
Se per la sorte saremo entrambe…aceto
forte e acidulo al gusto
ma pronte a condire i giorni dell’esistere
la scampagnata d’un ferragosto
a chi saprà togliere il tappo
e la polvere dalla bottiglia

Angela Cristina  Broccoli

.
La favola scorre agile attraverso il fascino della metafora.

Qui, ogni elemento, realistico o meno, si trasvaluta nell’operazione estetico-espressiva in inventiva fantastica, ricca di immagini e di sentimenti nei quali spicca l’ ”acino d’uva”

 

 

 

PREMIO SPECIALE  DELLA GIURIA

 

 

SEI IL DUBBIO CONSACRATO ALLA BELLEZZA

Sei il dubbio consacrato alla bellezza
La luce dei tuoi occhi mi trascina
nei viali più reconditi del cielo
nel covo imperturbato delle stelle
nel sogno più ostinato della vita.
E annego nel profondo dei silenzi
che mi regali quando ti nascondi
al vento caldo delle mie parole
sortite dall’ampolla dell’amore
o dal coraggio della mia follia.
Sei terra arcana ancora da scoprire
da spalancare con la fantasia
da trasformare in oasi di passione.
Sei il dubbio consacrato alla bellezza
alla sublime vetta del delirio
all’impietosa dea della speranza
e lasci lo stupore al tuo passaggio
e scavi abissi lungo le tue rive
ad impedire i morsi del destino.
Ma il mare non si lascia imprigionare
da fosse fonde quanto il pregiudizio
dal tuo timore d’essere mortale.
Vedrai sarà fantastico il tremore
che scuoterà i tuoi muscoli silenti
quando la tracotanza dell’amore
travolgerà la strenua resistenza
del desiderio che si fa ragione.
Allora io ti attenderò tremante
e sarò spiaggia e tu perfetta onda
leggera a ricoprirmi di certezze
nel canto muto dell’eternità.

Vittorio Di Ruocco

 

La poesia è ricca di immagini e parole che incuriosiscono.

Il testo è coinvolgente, scorrevole e si presta ad essere universale, consentendo interpretazioni personali.

 

L’Associazione BONDEKO di Oggiono ritiene di dedicare un premio speciale a:

MARISA GABBIONI

 

Intelligente osservatrice dell’umanità, quanti e quali RICORDI ha offerto,  e tuttora offre, a tutti noi – in poesia e in prosa, in dialetto e in italiano – di vita dell’ Oggiono del Novecento!

 

RICORDI

 

Cosa sono i ricordi?

Son solo le briciole del passato di ognuno

rimaste nel desco della nostra memoria

affinché non si scordino i giorni migliori

ma nemmeno i momenti dei grandi dolori.

La vita è un enigma, non si sa proprio niente

ma quel che succede non esce di mente.

Il nostro cervello è un computer perfetto

che non abbisogna del discorso diretto.

Dobbiam soltanto saperlo ascoltare

quando è il momento che ci vuole parlare.

E se avrem la fortuna di star qui qualche anno

saran proprio i ricordi che ci aiuteranno.

Marisa Gabbioni

 

L’uso della rima baciata (cara a Gianni Rodari) rende carezzevole la poesia.

ricordi…memoria…ascoltare…parlare sono parole-chiave, accomodate in posizione di rilievo (a fine verso) e tutte convergenti verso la vita.

L’autrice intona il senso vitale della memoria: custodisce ricordi. Ricordi di vicende, personali

e collettive, di emozioni, di gioie e di dolori e, perché no?, di storia dell’umanità.

                                       “E se avrem la fortuna di star qui qualche anno

                                        Saran proprio i ricordi che ci aiuteranno.

 

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